Il dolore lombare è usualmente classificato come “dolore specifico”, “non specifico” e “sindrome radicolare”. Nell’ 85-95% dei pazienti una diagnosi specifica sulle cause pato-anatomiche manca, e in questi casi la lombalgia viene definita “aspecifica” (Waddel 2005). La mancanza di chiare origini pato-anatomiche del mal di schiena ha portato ad una grande varietà di diagnosi e ad un più grande numero di approcci (Poitras et al. 2005). Dopo più di 1000 studi RCT (randomized controlled trials) sul mal di schiena persiste ancora una mancanza di evidenze riguardo l’approccio più efficace per il singolo paziente. A prima vista tutti gli approcci differiscono poichè ognuno sembra avere il proprio esclusivo elemento. Per esempio, alcuni approcci sottolineano l’importanza della valutazione e dell’attivazione dei muscoli profondi del tronco (Richardson et al. 2004; Hodges et al. 2009), mentre altri considerano che questo aspetto del sistema debba essere corretto automaticamente gestendo altri aspetti come la correzione di “movimenti errati o alterati” (Sahrmann 2002; McGill 2007). Altri approcci si focalizzano sull’aspetto cognitivo (insegnamento cosciente) mentre altri ancora su soluzioni automatiche senza la diretta attenzione del paziente ai muscoli o al movimento (terapia manuale, osteopatia, chiropratica, trattamento fasciale, agopuntura, massaggio, ultrasuoni, trigger points, tens ecc. ecc.).
Nonostante tutte queste differenti opinioni non sembra esistere ancora il miglior approccio assoluto. Può però esistere l’approccio più adatto al singolo paziente. Ogni professionista sanitario tende a sottolineare le qualità del proprio approccio ma in questo caso si corre il rischio di dimenticare le esigenze e le caratteristiche del paziente che invece risultano determinanti per la riuscita della terapia. Molti approcci si prefiggono lo scopo di cambiare la postura o di raggiungere posture ideali. Nonostante molte ricerche indaghino questi scopi ci sono ancora pochi dati clinici a conferma che una “postura” sia meglio di un’altra. Non solo, molti studi confermano casomai che non esiste relazione tra dolore e postura.
INSERIRE LA RIABILITAZIONE DEL MAL DI SCHIENA ALL’INTERNO DELL’APPROCCIO BIOPSICOSOCIALE
Come dal titolo di questo articolo e dalla breve introduzione si vuol far intendere che la gestione del paziente col mal di schiena dovrebbe essere inserita in un contesto biopsicosociale o integrato. Per esempio infatti il controllo motorio del corpo può essere influenzato da variabili psicosociali. Una volta scelto l’approccio univoco per un dato paziente è importante inserirlo nel suo contesto biopsicosociale. A volte questo significa avere elementi utili per gli scopi del recupero. A volte è meno facile riuscire ad avere elementi utili a capire come il contesto psicosociale possa influenzare il dolore, il comportamento, il controllo motorio e la salute della schiena. Fondamentale è il dialogo con il paziente e l’anamnesi. Per esempio tramite il racconto dell’insorgenza e del percorso del dolore, si può capire se questo sia di natura nocicettiva (quindi di strutture che dalla periferia inviano segnali di pericolo al sistema nervoso) oppure se ci sia il contributo di altri elementi. Per capire quanto gli altri elementi possano contribuire al mal di schiena è utile conoscere per esempio quali abitudini siano cambiate a causa di questo dolore. La distinzione è fondamentale poichè i fattori psicosociali possono sia modulare il dolore e il controllo motorio che modulare l’impatto nella vita sociale e nel lavoro del paziente, la maniera in cui esso convive con il dolore e quale scelte mette in atto per farlo passare. Quando esiste una componente non nocicettiva oppure è dominante e fattori psicosociali contribuiscono al dolore, al controllo motorio, al comportamento e al benessere il clinico si trova di fronte ad una difficile sfida: scegliere gli obiettivi principali dell’intervento e identificare i metodi migliori per affrontarli insieme al paziente. A volte questo richiede un’avanzata conoscenza delle interazioni tra i vari aspetti. Per esempio variabili cognitive come la convinzione che la schiena sia vulnerabile quando si muove in un certo modo potrebbero limitare l’obiettivo di raggiungere un buon controllo motorio. Per contro, strategie motorie potrebbero causare dolore nell’azione di compiere un dato compito e quindi scoraggiare il paziente. Ogni situazione richiede un approccio flessibile e clinicamente multifattoriale. Idealmente e teoricamente il processo per identificare le priorità del trattamento dovrebbe essere fatto tenendo conto degli obiettivi del paziente: cosa pensa sia necessario raggiungere nel breve e nel lungo periodo? Cosa è disposto a fare per raggiungere i suoi obiettivi? Quali sono le sue aspettative dal trattamento? Questo processo però dipende anche dalla capacità e dalla conoscenza del clinico, dal contesto di intervento, dall’empatia paziente-clinico e dal rapporto tempo-costi.
In generale sembra logico che il risultato ottimale possa essere raggiunto da un approccio che integri tutti gli aspetti che contribuiscono al problema. Sebbene logico, questo richiede caute considerazioni poichè in alcuni pazienti è utile scegliere approcci che incoraggino al movimento nonostante il dolore mentre per altri è utile far porre attenzione proprio al dolore e su quali movimenti lo aumentino e quali lo diminuiscano. La capacità del clinico sta nel capire quale paziente ha di fronte e quindi quale approccio possa dare migliori risultati per lui.
Due altri temi importanti richiedono un approfondimento. Primo, il dolore è una esperienza personale correlata alla sensazione, reale o percepita, di un danno al proprio corpo e non è direttamente correlato alle afferenze nocicettive, le vie del dolore (Butler and Moseley 2003; Woolf 2011). Meccanismi tra il sistema nervoso periferico e centrale possono amplificare l’input doloroso, così come possono farlo altri fattori come gli elementi psicosociali. Però, se lo scopo della terapia è quello di ridurre gli input dolorosi o nocicettivi, non ci si può aspettare una relazione diretta tra miglioramento del controllo motorio e diminuzione del dolore. Questo sottolinea la difficoltà di basarsi solo sui sintomi riportati dal paziente per valutare il grado di controllo motorio della colonna. Quindi, se una modifica del controllo motorio non cambia il dolore, questo non significa che sia stata inutile. Secondo, insegnare un miglior controllo motorio non significa implicare esclusivamente il sistema locomotore. Per esempio, il semplice comando “attiva il tuo busto naturale o il tuo core” ingloba elementi abbastanza potenti da esseri interpretati a livello cerebrale come una sicurezza per la colonna. La riduzione del dolore nell’allenamento motorio non è quindi necessaria per cambiare il movimento.
E’ abbastanza ragionevole suggerire che più è complessa la storia clinica del paziente e più elementi psicosociali possono contribuire al suo stato doloroso. Ci sono metodiche che si indirizzano direttamente su questi aspetti psicosociali ma invito il lettore eventualmente ad approfondire l’argomento per conto proprio se interessato.
Bibliografia:
- Spinal Control:
The Rehabilitation
of Back Pain
State of the art and science (Paul Hodges at al.) - Explain the pain (Butler e Moseley)
- Pain fundamentals (Gregory Lehman)